Anas Almustafa profugo siriano

I disastri della guerra vanno oltre distruzione e morte. Vanno oltre lutti e sentimenti, disperazione e speranza. C’è chi muore, ma c’è chi sopravvive, malgrado tutto, e si ritrova solo, senza casa, senza lavoro, con dei vuoti affettivi incolmabili. Questa storia è comune a molti profughi e Anas Almustafa è uno di loro.

Nel 2016, Anas Almustafa è uno degli ultimi siriani a lasciare Aleppo sotto assedio dopo che le Nazioni Unite hanno fatto da intermediario per spronare gli ultimi a lasciare la città. Si rifugia in Turchia, a Konya, dove ottiene protezione temporanea e un regolare permesso di soggiorno. Anas è felice a Konya, si sente al sicuro. Lì fonda l’organizzazione umanitaria A Friend Indeed che, grazie al sostegno di benefattori in tutto il mondo, soprattutto in Europa e negli USA, offre assistenza a più di 175 famiglie molto povere. Negli anni la sua associazione ha collaborato con le organizzazioni italiane “Crescere Insieme” e “Mani di Pace“, oltre che con l’organizzazione rumena “Help and Care Trust“.

– Ho scelto di essere un attivista umanitario perché sono un rifugiato e so bene come si sentono i rifugiati che sono stati costretti a lasciare la propria casa – ci racconta Anas – Ho cercato di aiutare le famiglie povere e vulnerabili, specialmente le vedove che hanno perso il marito e gli orfani che hanno perso il padre durante la guerra in Siria. Facevo tutto da solo. Nessuno mi aiutava. Tranne le volte in cui chiedevo ad amici turchi di accompagnarmi con le loro macchine, ma per il resto mi muovevo a piedi, per portare cibo e soldi, pagare affitto e bollette alle famiglie bisognose. Sai quanti chilometri ho percorso a piedi nel 2019? Il GPRS di Google ha contato 2160 km!

Poi il 15 maggio del 2020 accade l’inaspettato. La polizia turca preleva Anas dalla sua abitazione e lo porta in questura per fargli alcune domande. Anas pensa che vogliano fargli domande per la sua richiesta di cittadinanza turca, invece no. Gli tolgono cellulare e portafogli e lo mettono in prigione senza dirgli perché lo stanno arrestando. Quella notte è lunghissima. In carcere conosce altri 5 rifugiati siriani, tutti convinti di essere stati portati lì per ricevere il documento di cittadinanza turca. La mattina del 16, la polizia lo intima di firmare un documento per la deportazione volontaria in Siria.

Anas è scioccato. Chiede di parlare con un avvocato, ma la richiesta viene rifiutata.

Ho il numero di pratica dell’UNHCR (Agenzia ONU per i Rifugiati). Per favore, desidero contattare l’UNHCR, è un mio diritto di rifugiato – li prega. Ma i poliziotti gli dicono che l’unico suo diritto è quello di firmare il documento.

Anas si rifiuta. Chiede spiegazioni: che gli dicano quale crimine ha commesso! Ma niente, non gli dicono niente. Viene minacciato di essere mandato in prigione a Gaziantep per sei mesi o un anno e lui dopo quattro giorni di violenze psicologiche crolla e concede la sua firma.

Anas e gli altri 5 rifugiati, il 22 maggio vengono portati al confine siriano, a Idlib. Qui vengono messi in isolamento e dopo una settimana Anas riesce a fuggire e si nasconde a casa di un amico fidato. Entra in contatto con Amnesty International che raccoglie la sua storia e pubblica una dichiarazione sul suo caso. Costretto a rimanere nascosto, inizia a contattare amici in tutto il mondo e incontra il suo legale Muna Khurzum che raccoglie tutti i documenti e le prove per aiutarlo. Muna presenta ad Anas l’avvocata Chiara Modica Donà Dalle Rose titolare dello studio legale Politeama che con la collega Valentina Blunda offrono assistenza legale gratuita per fare ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Un ricorso che viene respinto, perché chiedono ad Anas Almustafa di adire un tribunale in Turchia. Come un cane si morde la coda, sembra non esserci via d’uscita.

Dopo 5 mesi di vita infernale a Idlib, Anas affronta un viaggio pericolosissimo e torna in Turchia, nella sua casa di Konya, con lo scopo di riprendere i suoi documenti originali (carta d’identità, passaporto, certificazioni) per difendersi legalmente nei tribunali turchi. Ora che è lì, ha il terrore che la polizia torni a prelevarlo e lo deporti nuovamente.

Anas cerca disperatamente aiuto – Spero che le autorità turche riconoscano che mi hanno espulso per errore perché non ho nessun problema in Turchia ed ero un rifugiato legale al 100%

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Claudia Baldini

Consulente comunicazione - Proprietaria e direttore di testata giornalistica indipendente "L'Arte del comunicare" - P.R. - Speaker - Formatrice