Parlare è un bisogno, ascoltare è un’arte” è una frase di Johann Wolfgang von Goethe, uno dei più celebri personaggi del panorama culturale europeo del XVIII secolo, ed è l’incipit giusto per iniziare un excursus sulla comunicazione medico-paziente.

Il rapporto medico paziente è una delle poche forme di interazione umana in cui il fine è lo stesso: la salute del paziente. La comunicazione tra le due figure è un aspetto essenziale della pratica medica.

Il paziente cerca nel medico un alleato per costruire insieme un’alleanza terapeutica, così da ottenere le informazioni, avere una diagnosi e condividere un piano di trattamento. In questo contesto inizia il processo di guarigione.

È importante essere consapevoli che la medicina deve necessariamente evolversi: il paziente ha bisogno di essere visto nella sua interezza; solo approcciandolo in quest’ottica si può pensare di rinsaldare la relazione con lui, perché l’ambito medico è quello in cui, più di qualunque altro settore professionale, la capacità di comunicare una diagnosi o un percorso di trattamento senza provocare traumi e sofferenze inutili dovrebbe diventare un’arte. I problemi di sfiducia e di incomprensione tra paziente e medico possono essere risolti attraverso lo sviluppo delle abilità di comunicazione di quest’ultimo.

Anche perché il pubblico è sempre più informato e scettico nei confronti dei medici: il «dottor Google», il medico virtuale di fama internazionale, ritenuto un luminare della scienza, disponibile in qualunque momento, oltretutto in maniera gratuita, è il più consultato al mondo da coloro che cercano l’autodiagnosi in rete, che digitando l’elenco dei propri sintomi ottengono in frazioni di secondi la conferma o meno della propria malattia, accusata, sospettata o solo immaginata con i conseguenti trattamenti medici oltre che sulle medicine alternative.

Quando un paziente arriva con le ipotesi di patologie desunte da internet i medici assumono sempre un atteggiamento altezzoso, ignorando che ormai coloro che cercano la causa dei propri malesseri in rete sono oltre l’88% degli italiani (dati Censis). La ricerca ossessiva di malattie tramite il dr. Google è considerato un disturbo psicologico, classificato e chiamato «cybercondria», la versione tecnologica dell’ipocondria. A tal proposito circola in rete un ironico cartello – affisso da un medico dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano alla parete accanto al suo studio – che recita: «Coloro che si sono già diagnosticati da soli tramite Google, ma desiderano un secondo parere, per cortesia controllino su Yahoo.com».

La crisi di fiducia nasce dalla scarsa capacità di condividere le conoscenze della medicina: comunicare – da ‘cum’ (con) e ‘munire’ (legare, costruire) e dal latino ‘communico’ (mettere in comune, far partecipe) – significa mettere insieme, scambiare informazioni, conoscenze, bisogni, atteggiamenti, emozioni, percezioni tra soggetti coinvolti in un determinato contesto spazio-temporale su tematiche comuni. Si possono comunicare delle situazioni e sensazioni sia in modo volontario che involontario. Un assunto ripetuto spesso è che “non si può non comunicare”: l’uomo comunica con la prossemica (la disciplina semiologica che studia i gesti, il comportamento, lo spazio e le distanze all’interno di una comunicazione, sia verbale che non verbale), le espressioni, il tono o la velocità della voce nel parlare, la sudorazione, ma si comunica anche attraverso lo stile dei propri vestiti, il taglio dei capelli, gli accessori che si indossano; è quindi impossibile non comunicare.

Imhotep, vissuto circa 5.000 anni fa (2600 a.C.) e considerato il padre della medicina, fu il primo a parlare della relazione medico – paziente e della comunicazione in Medicina. Noto per essere medico dalle straordinarie abilità curative, attribuiva un ruolo basilare per l’esercizio della professione medica alla conoscenza del paziente e della sua malattia, alla raccolta delle informazioni necessarie per poter fare diagnosi, oltre che all’esperienza diretta sul malato per la formazione del medico.

Ma è Ippocrate (Sull’arte, in Opere), molto più tardi, nel V secolo a.C., a definire il processo relazionale e comunicativo: il medico deve “saper leggere”, “saper curare” e “saper comunicare”; «il tocco, il rimedio, la parola» possono aiutare a guarire.

“… tieni presente il tuo modo di sederti, riservato, espressione decisa, brevità di parola, compostezza …

… di rendere partecipi dei precetti e degli insegnamenti orali e di ogni altra dottrina i miei figli e i figli del mio maestro e gli allievi …

… a me sembra che si debba, parlando di quest’arte, dire cose comprensibili per i profani …”.

Da queste affermazioni si possono trarre le prime regole della comunicazione in Medicina: contenuto dell’informazione e linguaggio usato, modo di presentarsi, di guardare e gesticolare, credibilità, comprensione del ricevente, del contesto e del campo di osservazione in cui la comunicazione si verifica.

Giuseppe Lauriello, in “L’eredità della Scuola Medica Salernitana”, scrive: “In due piccoli e incompleti trattati della Scuola Medica salernitana, databili al XII-XIII secolo, viene descritto il comportamento del medico da tenersi al letto del malato: “De adventu medici ad aegrotum” (Arrivo del medico presso il paziente) e “De instructione medici” (Istruzioni per il medico). Ecco alcuni suggerimenti impartiti al medico neofita:

Quando tu medico sarai chiamato al letto del malato, prestagli soccorso in nome del Signore e siigli accanto, come lo fu l’Angelo per Tobia, infermo nel corpo e nella mente”.

Entrando, chiedi a chi ti annunzia da quanto tempo l’infermo è sofferente. Tanto perché, quando sarai accanto a lui, non sembri che tu ignori del tutto le sue condizioni”.

Presentandoti al paziente, non mostrare un atteggiamento superbo, ma rispondi con pari umiltà al saluto di coloro che si levano in piedi per te e siedi, facendo loro segno di sedere”.

Infine, rivolto al malato chiedigli come si sente e invitalo a porgerti il braccio. E allora, forse per l’emozione, tu sarai ingannato dai numerosi battiti al polso. Però una volta rassicurato il paziente noterai l’acquietarsi delle pulsazioni”.

Quale insegnamento si trae da queste istruzioni e quali sono i requisiti che devono contraddistinguere il medico e la sua attività professionale?

Innanzitutto la disponibilità, intesa quale sollecitudine a qualsiasi richiesta di assistenza e soccorso provenga dal malato. Essa è aspetto peculiare della professione medica, che travalica qualsiasi remora di carattere ideologico, religioso o etnico e risponde solo al bisogno.

L’ascolto, che si completa con l’approfondimento psicologico del soggetto da curare e con lo studio del contesto ambientale dove l’ammalato vive. L’atto medico non può e non deve prescindere dal coinvolgimento deontologico, psicologico ed etico con cui è collegato.

A tanto segue la fiducia, che è una conquista del medico. È data non solo dalla stima sul piano del sapere scientifico ma anche dal rapporto di confidenza che s’instaura tra due persone.

Oggi non sempre la formazione del professionista è impostata a tale compito.

Ma non è solo la comprensione, la partecipazione affettiva, che il medico deve offrire al paziente, ma anche la consolazione, cioè il conforto, l’incoraggiamento, il sostegno nei momenti di scoramento che il paziente attraversa.

Sono riflessioni che richiamano il pensiero di Seneca (De beneficiis, VI, 16), insigne esponente dello stoicismo romano, e si mostrano di un’attualità assoluta:

Perché al medico sono debitore di qualcosa in più e resto ancora in debito anche pagandolo? Perché da medico si trasforma in amico e noi non restiamo a lui obbligati per le sue prestazioni professionali, ma per la sua benevola ed affettuosa disposizione nei nostri riguardi”.

Se il medico non fa altro che tastarmi il polso e prescrivermi ciò che debbo fare o evitare, non gli sono debitore di nulla, perché egli non vede in me un amico, ma un cliente.

Gli sono debitore, invece, perché ciò che mi ha venduto vale più di quanto l’ho pagato: si è preoccupato per me più di quanto fosse necessario alla sua attività professionale, è stato in ansia per me, mi ha assistito affettuosamente, è accorso nei momenti difficili, si è commosso ai miei gemiti…”.

Sono passati più di due millenni, eppure gli insegnamenti dei padri della medicina sembrano essere completamente ignorati: il rapporto medico – paziente appare sempre più distaccato e superficiale.

I malati necessitano di risposte alla loro specifica esigenza assistenziale e al personale bisogno di accoglienza, di ascolto e di condivisione degli obiettivi terapeutici con il Curante.

Credere che nella relazione tra medico e paziente vi sia il fulcro di ogni prospettiva futura e rafforzare l’idea di un recupero sostanziale del tempo della comunicazione come tempo di cura, vivere ogni frammento di vita professionale con lo stesso entusiasmo che ha animato una scelta di vita è il percorso di formazione relazionale per i nuovi medici.

Il volume “Dall’ascolto al dialogo. La comunicazione medico-paziente” (Giuseppe De Nicola editore) di Rosa Ruggiero rappresenta un ulteriore tassello affinché la comunicazione tra il paziente e il suo curante diventi materia di studio obbligatorio per i futuri medici, così come proposto in un disegno di legge agli atti della Camera dei Deputati durante la scorsa Legislatura.

Dr. Giuseppe De Nicola

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Claudia Baldini

Consulente comunicazione - Proprietaria e direttore di testata giornalistica indipendente "L'Arte del comunicare" - P.R. - Speaker - Formatrice