Andrea Nicastro inviato Corriere della Sera e scrittore

Dal 15 di agosto i talebani sono tornati al potere in Afghanistan e solo ora sembra che tutti abbiano riscoperto quanto sono cattivi e quanto possono far paura. Però, chi ha seguito anche solo marginalmente gli ultimi vent’anni della storia internazionale, ha potuto vedere una crescita importante dell’integralismo islamico, sia dal punto di vista politico e militare, con tante tragedie e tante morti, sia dal punto di vista culturale e umano, con un’importante retrocessione in termini di diritti umani.

Per capire meglio cosa sta avvenendo e cosa potrebbe accadere alla popolazione afghana, soprattutto alle donne afghane, ho avuto un’appassionata chiacchierata con Andrea Nicastro, inviato del Corriere della Sera e profondo conoscitore dei paesi islamici.

Andrea, la tua esperienza ti ha portato a scrivere “Gli Altri siamo noi”, e dal libro hai realizzato uno spettacolo teatrale intitolato “Gli Altri. Storie di burqa, amore e rabbia nel secolo del Jihad. Tu pensi che conoscere la differenza tra Islam e islamismo ci possa aiutare anche a capire la storia delle donne afghane?

Sì, direi che è essenziale per capire la storia delle donne afghane, ma anche per capire la storia del nostro terrorismo e la storia delle guerre nelle quali siamo stati coinvolti e nelle quali abbiamo avuto tante vittime. C’è chi vede nell’Islam il male assoluto come religione, ma è veramente facile da smontare questa tesi perché basta pensare che sotto l’Islam hanno vissuto per 1.400 anni tantissime religioni diverse, dagli ebrei che vi avevano trovato rifugio, all’impero Ottomano che era multiculturale, multietnico, multilinguistico e multireligioso. La persecuzione e l’intolleranza di questa parte islamista dell’Islam nei confronti degli altri è un fenomeno politico recente, contingente, che non è legato alla religione. Oggi l’Islam è usato da un gruppo politico islamista che porta avanti delle richieste politiche attraverso anche l’uso della religione.

E quindi il fondamentalismo islamico è religione o politica?

Assolutamente politica. L’Islam è stato, come il cristianesimo, tantissime cose. Erano musulmani i primi traduttori di Aristotele e di Platone; ci sono stati filosofi musulmani che mettevano in dubbio tantissimi elementi del libro della parola. Ma all’epoca d’oro dei califfati di Baghdad, l’Islam era accoppiato a un sistema politico funzionante che aveva bisogno di quel pensiero critico. In quei luoghi c’erano più libri e più libertà di pensiero che in tutta Europa. Durante i secoli, sono successe tante cose. Non si può dire che è la religione a dire che bisogna ammazzare gli infedeli o uccidersi. Questa idea dello shahid, del kamikaze, è modernissima, prima era considerata vietata dalla religione. Sono strumentalizzazioni della politica.

Chi sono gli altri di cui parli nel tuo libro? Sono gli islamici? Sono uomini? Donne?

Il libro ha l’ambizione di essere un saggio, di cercare di spiegare le radici storiche di questi fenomeni, infatti si chiama “Gli Altri siamo noi”. Cioè, per noi lo straniero selvaggio è nel mondo islamico, dove parlano una lingua incomprensibile ed hanno usi che a noi magari non piacciono o da cui vengono minacce fisiche concrete. Per loro gli altri siamo noi, siamo quelli che non capiscono, che si comportano male, siamo quelli che conquistano, che sono ingiusti, che sfruttano e appoggiano le dittature. Siamo quelli che compiono i colpi di stato, quelli che non aiutano la crescita indipendente del paese.

Tu hai vissuto circa sei anni tra Afghanistan e Iraq nei momenti più difficili per la vita di quelle popolazioni. Sempre riguardo alla figura femminile, che cosa hai visto, sentito. Cosa ti hanno raccontato le donne afghane? Quali storie ci puoi raccontare

C’è un episodio che trovo molto significativo: un amico iraniano è venuto a vedere lo spettacolo e ha avuto la pessima idea di riprendere la parte iniziale in cui Francesca Mineo dice “ah, ma caspita, questo burqa è stretto, mi dà fastidio” e io dico “sì, dovresti tenerlo così e poi stringerlo per non far vedere neanche la gonna. Le donne sono costrette a ingobbirsi e a farsi più piccole perché devono stringersi dentro il burqa, sennò non vedono nulla e vanno a sbattere contro il muro o vengono investite”. Ecco, questo modo di raccontare la difficoltà pratica che c’è nel tenere addosso un indumento del genere ha scatenato sui social un enorme apprezzamento! Improvvisamente, sia io che Francesca siamo stati sommersi da decine e decine di nuovi follower del mondo persiano, iraniani e afghani, i quali dicevano che nessuno aveva mai raccontato del velo come umiliazione, come modo per sottomettere la donna e mostrarla più piccola e fragile.

Raccontaci cos’hai visto.

L’essenza del problema, per chi lo vive in prima persona, non è quasi mai il velo; quasi tutte mi dicono “è un pezzo di stoffa; quello che conta è lavorare, essere indipendente, poter gestire la famiglia” o laddove, invece, ci sono casi di guerra e di insicurezza, è la sicurezza. Molte donne, per esempio, durante situazioni di fronte instabile e avanzata di truppe avverse, benedivano il fatto di potersi nascondere sotto un burqa, perché volevano non attrarre l’attenzione di uomini violenti.

Vorrei leggere l’appello della regista afghana Sahraa Karimi che rivolge a tutte le comunità del mondo:

“Vi scrivo con il cuore spezzato e la speranza che possiate unirvi a me nel proteggere la mia bella gente. Nelle ultime settimane hanno preso il controllo di così tante province. Hanno massacrato il nostro popolo, hanno rapito molti bambini, hanno venduto bambine come spose minorenni ai loro uomini, hanno assassinato donne per il loro abbigliamento, hanno torturato e assassinato uno dei nostri amati comici, hanno assassinato uno dei nostri poeti storici, hanno assassinato il capo della cultura e dei media per il governo, hanno assassinato persone affiliate al governo, hanno appeso pubblicamente alcuni dei nostri uomini, hanno sfollato centinaia di migliaia di famiglie… I media, i governi e le organizzazioni umanitarie mondiali tacciono come se questo “accordo di pace” con i talebani fosse legittimo. Non è mai stato legittimo… Se i talebani hanno preso il sopravvento, vieteranno anche ogni arte… Spoglieranno i diritti delle donne, saremo spinti nell’ombra delle nostre case e delle nostre voci, la nostra espressione sarà soffocata …

Andrea, cosa sta avvenendo?

Sta avvenendo che il 29 febbraio 2020 la superpotenza mondiale americana ha deciso di legittimare l’esistenza di un gruppo terroristico oscurantista come i talebani, cercando di ottenerne un vantaggio, quello di uscire dal pantano afghano senza vittime. E se è vero che l’ultimo attentato all’aeroporto di Kabul è stato compiuto da una branca diversa da quella talebana, i talebani hanno rispettato il patto. Dal febbraio 2020 in avanti nessun americano è stato ucciso. Nel patto però c’era anche che dopo l’uscita degli americani, i talebani avrebbero dovuto accordarsi col governo afghano per costituire un governo di coalizione… cioè, gente che si era combattuta dal 1994 avrebbe dovuto decidere di condividere ministeri, potere, forze di polizia. Qualcuno ha veramente creduto che lo avrebbero fatto? Condividere il potere senza abiurare alla loro ideologia? Senza dire “guardate, noi vi facciamo entrare al potere ma voi dovete sottoscrivere che rispettate la carta dei diritti umani, la convenzione di Ginevra e tutto quanto fa parte della nostra civiltà occidentale un modello unico al mondo di difesa dei valori fondamentali”. Questa cosa è stata totalmente ignorata. Lo abbiamo sentito tutti il presidente americano dire “vabbè, ma se gli afghani non hanno combattuto per difendersi, dovevamo mica combattere noi per loro”. Sono morti 60.000 soldati afgani in questi anni di guerra, perché credevano di avere un percorso comune a quello americano. E invece sono stati traditi e abbandonati!

Con la presa di Kabul da parte dei Talebani lo scenario per le donne afgane è preoccupante. Le studentesse nascondono i documenti che provano la loro iscrizione in università. Bruciano i vestiti e svuotano le trousse con i loro trucchi. I Talebani stanno entrando nelle case per capire chi lavora con gli occidentali e le organizzazioni governative e punirli. Ma c’è un silenzio assordante, non arrivano notizie di ciò che sta realmente accadendo. Come mai?

Non sono d’accordo con te. Si sta raccontando la cronaca. Ci sono sicuramente allarmi e titoli sulle stragi e su alcuni episodi di cui siamo a conoscenza. Non sappiamo ancora se i talebani decideranno di dare il via ad una carneficina. Possono farlo, l’hanno fatto. Probabilmente ne puniranno uno per avvisarne cento. Proprio oggi, 2 settembre 2021, inizia la guerra aperta nei confronti dell’ultima sacca di resistenza che è quella del Panshir, la famosa valle dove i mujahidin del leone del Panshir hanno resistito prima ai sovietici e poi ai talebani, e dove adesso c’è il figlio di questo comandante che si difende e che ha organizzato un fronte di resistenza. Sono d’accordo con te sul fatto che ci sia un silenzio assordante da parte delle cancellerie dei governi del mondo. La legalità internazionale non interessa nessuno. I talebani hanno preso il potere con la forza, sono entrati a Kabul, un governo riconosciuto da tutta la comunità internazionale e appoggiato per 20 anni con soldi e vite umane. È vero che questo governo è scappato, ma il vicepresidente, Amrulá Salé, si è rifugiato nella valle del Panshir e ha detto “guardate che per Costituzione se il Presidente è inabilitato o e all’estero (come nel caso del presidente Ghani) subentro io e divento il vero rappresentante dell’Afghanistan”. Bene, questo signore non se l’è filato nessuno! Essere rappresentante dell’Afghanistan significa che Salé può chiedere alla banca mondiale di avere i 9 miliardi di dollari che sono depositati all’estero. E con 9 miliardi Salé organizza sicuramente una resistenza. Il silenzio è questo. Sono scelte politiche.

Ma i talebani rispetteranno i diritti acquisiti dalle donne?

I talebani hanno bisogno del riconoscimento internazionale. La comunità internazionale, in questi anni, ha elogiato il fatto che sono aumentati i diritti delle donne in Afghanistan perché, effettivamente, nelle aree urbane una buona parte di società aveva cominciato a cambiare abitudini. C’erano 200 mila universitari a Kabul prima dell’arrivo dei talebani e 50 mila di questi, donne. Vuol dire che quelle donne arriveranno ad avere una cultura capace di poterle sostenere e rendere indipendenti. È sicuramente un cambiamento importante. Ma lasciamo un Afghanistan dove si celebrano ancora matrimoni combinati con delle bambine, dove nelle zone rurali le donne indossano il burqa e così via. Sono stati fatti progressi in termini di diritti umani per le donne ed è un peccato buttare tutto. È veramente un peccato, soprattutto perché noi abbiamo preso degli impegni: noi abbiamo bombardato, invaso e occupato, sbagliato i bombardamenti e ammazzato innocenti, convinto persone a sparare per noi, convinto persone a uscire dalla loro confort zone, convinto delle ragazze a ribellarsi anche ai padri e alle famiglie per andare a scuola.

E le organizzazioni non governative, le ONG che hanno lavorato molto in questi anni aiutando le donne, ora che possibilità hanno sdi continuare il loro operato?

econdo me, i talebani hanno tutto l’interesse a mostrare il loro viso buono e possono farlo facendo finta di non vedere certi comportamenti pur di continuare a ricevere l’aiuto internazionale. Quindi credo che nelle città ci sarà una certa flessibilità. Questo è il punto: se la comunità internazionale riuscirà a sfruttare la leva che la povertà estrema del paese obbliga i talebani ad ascoltare, per cui ha bisogno dell’aiuto delle organizzazioni umanitarie e le organizzazioni umanitarie possono chiedere il rispetto di quell’avanzamento che è stato fatto in questi anni, qualche passo indietro ma non troppi, allora va bene. Fino che i talebani avranno bisogno potrebbero lasciare questa relativa libertà in particolare alle donne; quando non avranno più bisogno, no, perché loro sono convintissimi che il modo giusto di vivere sia quello loro, non islamico, legato alle tradizioni e ai costumi della loro etnia pashtun e in particolare del loro mondo tribale.

C’è una bella notizia di poche ore fa, a Herat decine di attiviste, studentesse, giornaliste e lavoratrici delle istituzioni governative sono scese in piazza per difendere i propri diritti.

Le ho viste… mi hanno mandato un filmino. È sicuramente un buon segno. Speriamo che abbiano il coraggio di continuare a reclamare i loro diritti e che i talebani abbiano bisogno di mostrare al mondo di non essere quello che sono.

Andrea, noi non siamo veggenti ma se volessimo fare delle ipotesi su qualche scenario che si può aprire?

Mah, c’è da risolvere il problema Panshir. E lì è difficile farlo senza violenza perché questa catena di vendetta e di rapporti avvelenati dura da 30 anni. L’errore internazionale è stato di lasciare un paese in mano ai talebani senza pensare a una struttura che potesse sopravviverci. Cosa avremmo potuto fare? Una cosa pratica, una confederazione, una divisione del potere in modo che le varie parti del paese riuscissero a bilanciarsi tra loro, visto che assieme non riuscivano. Una volta risolto il problema del Panshir, io non so come ne verranno fuori, però la linea politica dettata sia dagli americani, sia dagli alleati dei talebani, è quella di non inimicarsi la comunità internazionale. Quindi ai talebani per i primi anni, finché non rimettono in piedi l’economia, può convenire fingere di non essere quello che sono. Poi le cose possono cambiare in tanti momenti e per tante ragioni; semmai l’importante è cercare di fare la cosa giusta sempre. E come comunità internazionale di sicuro in questo caso non l’abbiamo fatta. Questa è una delle situazioni internazionali più imbarazzanti mai avute prima e che pagheremo carissima. Non soltanto le donne afghane pagheranno, ma pagheremo anche noi, perché adesso tutti gli estremisti del mondo sanno che dell’occidente non ci si può fidare e tutti gli integralisti del mondo sanno che continuando ad aver fede e continuando a lottare, prima o poi, la vittoria arriva.

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Claudia Baldini

Consulente comunicazione - Proprietaria e direttore di testata giornalistica indipendente "L'Arte del comunicare" - P.R. - Speaker - Formatrice