Intervista a Loretta Bolgan, consulente scientifico in ambito analitico, tossicologico farmaceutico e ambientale. Dottore in scienze farmaceutiche.

Claudia: Con queste nuove varianti come Omicron, sembra si parli solo di raffreddore; in realtà, il Covid è una malattia seria che ha causato tanti morti, e anche chi è sopravvissuto si porta dietro dei danni. Forse il messaggio è che non dobbiamo abbassare la guardia?

Bolgan: Dopo due anni di infezione, possiamo fare il quadro della situazione, sia per quanto riguarda l’infezione acuta sia per i postumi, tutt’altro che trascurabili.  Faccio una premessa su cosa sono l’infezione, la complicazione e il virus. Inizialmente, siamo partiti con una definizione di Covid come di una malattia con sintomi simili a quelli di un’influenza che normalmente parte con dei disturbi gastrointestinali più o meno importanti, oltre a sintomi neurologici che possono andare da una stanchezza molto forte, a dolori muscolari, ma anche sintomi neurologici legati a degli stati di ansia che possono diventare addirittura dei veri e propri attacchi di panico.
Ci sono state persone con quadri clinici neurologici legati ad un’ansia non solo dovuta al fatto che semplicemente la parola Covid generava paura vista la situazione sociale in cui ci siamo trovati negli ultimi due anni, ma proprio perché la Spike va a interagire con dei recettori, a livello centrale, molto particolari, che possono essere fonte di questi disturbi. Quindi anche l’aspetto neurologico (neuro-Covid) va assolutamente tenuto presente e curato durante la fase acuta della malattia. 
Sappiamo che nella maggioranza della popolazione, l’infezione o è asintomatica o ha sintomi da lievi a moderati che poi vanno a risoluzione senza ulteriori problemi.
In una piccola fascia della popolazione predisposta può progredire verso la malattia che chiamiamo Covid e che è la complicazione polmonare con coagulopatia. Questo può sfociare anche in un esito fatale se non si interviene in tempi molto rapidi. È molto importante bloccare l’infezione nella prima fase, cioè nella fase virale, per evitare la complicazione in cui il virus non c’è già più perché è il sistema immunitario che attacca i tessuti dell’organismo causando una forte infiammazione. In questo caso il danno è multiorgano e comprende il cervello, i polmoni, il cuore, i reni e tutti gli altri organi.  

Claudia: Quindi sono importantissime le terapie domiciliari precoci.

Bolgan: La precocità della terapia è l’elemento fondamentale per poter fermare l’infezione da subito, prevenire le complicazioni e salvare la vita alla persona.
Quello che si era trascurato inizialmente, era la gastroenterite. Questa può manifestarsi con sintomi lievi ma anche importanti a seconda dei disturbi che la persona poteva avere già a livello gastrointestinale prima di fare l’infezione. In uno stato di disbiosi intestinale si è constatato che era più facile che la persona andasse incontro a delle complicazioni da Covid. Quindi, la disbiosi intestinale è un indicatore della predisposizione della persona verso un quadro più complicato. 
Fino dai primi mesi, si è studiato il percorso dell’infezione e si era visto che il virus aveva un particolare tropismo per l’intestino dove si trova la maggioranza dei recettori ACE2; successivamente si è visto che il virus non solo possiede un tropismo dei recettori delle cellule umane, ma tende ad infettare i batteri intestinali. Questo comportamento, detto fasico, cioè tipico dei virus batterici, fa sì che questo virus possa diventare persistente nel nostro organismo proprio andandosi ad insediare dentro i batteri intestinali. Studi fatti nel tempo hanno permesso di dimostrare che il virus della Sars-Cov2 può venire eliminato attraverso le feci per diversi mesi dopo che il test molecolare a livello naso-faringeo diventa negativo. Una persona negativa continua a smaltire il virus attraverso i reflui. L’intestino dimostra di essere una sede favorevole per l’insediamento del virus. Questo significa che la persona potrebbe andare incontro a un’infezione cronica. Questa cronicizzazione potrebbe essere ben tollerata dall’organismo e al manifestarsi delle disbiosi intestinali post-infettive si possono fare terapie per correggerle, ma ancora non sappiamo se il virus venga eliminato o rimanga latente a livello intestinale, pronto a riattivarsi di fronte a uno stimolo scatenante come una vaccinazione.
Questa infezione latente, purtroppo, in una parte di popolazione predisposta può portare dei danni multi-organo importanti, perché il virus se continua a replicarsi continua anche a produrre Spike.
Il Longcovid è sostanzialmente la conseguenza di una produzione continuativa di Spike: questa proteina stimola fortemente il sistema immunitario, non solo porta ad anticorpi in seguito alla malattia naturale protettivi verso l’infezione delle varianti, ma può stimolare il sistema immunitario anche in modo negativo.
La Spike contiene dei frammenti di aminoacidi che sono molto simili a frammenti che si trovano nelle proteine umane; questa somiglianza viene chiamata mimetismo molecolare e fa sì che gli anticorpi riconoscano la Spike, ma riconoscano allo stesso modo le proteine umane e si legano a loro. Questi legami possono portare, nel tempo, all’attivazione di malattie autoimmunitarie multi-organo; quindi, l’attacco autoimmune è una delle conseguenze dell’infezione da Sars-Cov2.
Possiamo avere patologie neurologiche del sistema nervoso centrale e del sistema nervoso periferico, possiamo avere l’attacco al sistema cardiovascolare e anche ad altri tessuti in cui si trovano queste proteine, simili alla Spike.
Andare a fare prevenzione dell’autoimmunità dovuta all’infezione è molto importante. 

Claudia: Allora non è detto che facendo la malattia si diventi immuni alla stessa, ma si può scatenare anche una malattia autoimmune?

Bolgan: Sì, diciamo che una delle conseguenze di una produzione a lungo termine di Spike, oltre alla formazione di anticorpi protettivi, è anche una stimolazione negativa del sistema immunitario che va a stimolare non solo le cellule che producono anticorpi protettivi, ma anche le cellule cosiddette autoreattive… cioè che producono gli anticorpi che poi attaccano le proteine dell’organismo stesso proprio per questa somiglianza tra la Spike e le proteine umane. Quindi c’è una predisposizione verso malattie autoimmuni. È ovvio che le persone già predisposte, o per genetica o perché hanno già malattie autoimmunitarie, con questo fenomeno potrebbero aggravare patologie già esistenti o slatentizzarne altre. Questo è uno dei danni.
Poi abbiamo il danno dovuto a intossicazione da Spike, perché la proteina può continuare a stimolare in maniera continuativa i recettori a cui si lega; questi recettori regolano tante funzioni nel nostro organismo: il recettore ACE2, ad esempio, si trova a livello vascolare o cardiaco e di tanti altri tessuti. La continua stimolazione può disregolare questi meccanismi mediati da recettore e, a livello centrale, possiamo avere delle vere e proprie intossicazioni con sintomi centrali che potrebbero essere importanti: stanchezza cronica, fibromialgia e altre patologie legate a questi tipi di disfunzioni.
Anche la perdita del gusto e dell’olfatto sono danni neurologici a lungo termine, dovuti alla persistenza della Spike a livello centrale.
Si possono avere anche dei danni legati a una tossicità diretta,dovuta sia dagli anticorpi che da un danno diretto della Spike nei tessuti della spermatogenesi.
Un’altra reazione importante da Spike è il fatto che questa proteina, oltre ad essere una tossina che riesce a passare la barriera ematocefalica, può agire anche come proteina Prionica. Si è visto che questa proteina ha una conformazione molto particolare, per cui se modifica la sua conformazione in maniera patologica può essere in grado di aggregarsi con altre proteine che hanno caratteristiche simili a lei e formare dei complessi. Questi aggregati di proteine se si depositano nei tessuti del sistema nervoso centrale possono causare encefalopatie spongiformi, note nelle malattie della “mucca pazza”, nell’Alzheimer e nel Parkinson.
Possiamo aggiungere altre due problematiche importanti: un danno cardiaco dovuto alla tossicità della Spike e la formazione di microcoaguli. Una carenza di ossigenazione dei tessuti potrebbe essere dovuta proprio a questa produzione continua di Spike e alla conseguente produzione di microtrombi. La fibrosi polmonare potrebbe essere un altro danno da tenere assolutamente in considerazione, monitorandolo nel tempo.
Questo è un quadro che richiede la massima attenzione da parte dei medici ed è assolutamente necessario che la persona che ha avuto l’infezione faccia prevenzione da Longcovid con analisi periodiche per valutare il suo stato di salute.
Nel caso in cui la persona non abbia sintomi postumi all’infezione è bene, dopo qualche mese e a discrezione del medico curante, fare un check-up per vedere i fattori della coagulazione, fare uno screening trombofilico, e possibilmente fare anche una valutazione della situazione polmonare e cardiaca. Se la persona aveva già malattie autoimmunitarie o altro, fare una valutazione dei parametri degli anticorpi autoimmuni per controllare che non ci siano nuove insorgenze.
I medici sono riusciti, con la terapia domiciliare precoce, a curare con successo anche tanti pazienti oncologici. Non è assolutamente detto che debbano andare incontro a complicazioni, però bisogna tenere sotto stretto controllo che non ci siano peggioramenti della malattia oncologica.
Anche i pazienti con patologie cardiovascolari vanno tenuti attentamente sotto controllo, anche dopo essere guariti dalla malattia. Per loro i controlli periodici devono essere un po’ più ravvicinati per evitare che vadano incontro a infezioni. 

Claudia: Parliamo di controlli periodici: ogni quanto?

Bolgan: Questo dipende dalle patologie che ha già la persona. Se la persona è sana non ha bisogno di fare analisi frequentemente, invece se aveva patologie pregresse è importante andare a identificare, valutare e monitorare alcuni parametri chiave.

Claudia: E se il medico i base non fosse preparato a fare prevenzione?

Bolgan: In questo caso bisogna individuare dei medici privati che prendano in mano questo tipo di percorso; ci sono dei laboratori privati che effettuano questo tipo di analisi, che fanno un check-up completo; poi si può proseguire il controllo solo su alcuni marcatori per essere sicuri che tutto sia a posto. Questo tipo di percorso è molto importante perché permette di personalizzare la prevenzione, in questo modo si può scegliere la terapia adatta per prevenire il Longcovid e altre eventuali malattie, anche infettive.
La prevenzione può essere fatta con le stesse sostanze usate per prevenire il Covid stesso: la vitamina D che andrebbe somministrata insieme alla K2 per migliorarne l’assorbimento e la biodisponibilità, la lattoferrina, la vitamina C, il glutachione e l’acetilcisteina. Quest’ultima, oltre ad essere un’importante antiossidante che produce glutachione, riesce ad attraversare la barriera ematocefalica, a rompere il legame della Spike e far sì che non si leghi ai suoi recettori. Questo meccanismo d’azione è molto favorevole nella cura del Longcovid, il cui danno è prevalentemente legato alla presenza della Spike.
Ci sono anche altre sostanze che possono essere somministrate per eliminare la Spike dall’organismo e la fitoterapia ci viene in grandissimo aiuto. Quindi c’è anche la possibilità di prevenire il Longcovid e funziona. È ovvio che l’intestino rimane il punto cruciale, in questo caso è indispensabile andare a risanare la disbiosi intestinale post infettiva che normalmente si riscontra sempre, ripristinando i batteri fermentativi e anche curando l’alimentazione (deve essere ricca di antiossidanti e di batteri fermentativi che sono quelli che aiutano a ripristinare la biodiversità). 

Claudia: Dove si possono trovare questi batteri fermentativi negli alimenti?

Bolgan: Negli alimenti fermentati; ci sono anche dei prodotti probiotici che sono stati formulati proprio per il trattamento della disbiosi intestinale da Covid, oppure miscele complesse di probiotici che hanno la stessa funzione. Va a discrezione del medico o del nutrizionista che ha in cura la persona. 
Nel caso in cui la malattia si presenti con sintomi neurologici centrali più importanti, può essere di grande aiuto fare l’ossigeno-ozono terapia, che agisce anche a livello del microbiota intestinale ma anche a livello centrale e cardiovascolare; ha un effetto antinfiammatorio, va a sciogliere anche eventuali microtrombi che si possono essere formati, e agisce ossigenando i tessuti.
Poi esiste anche la neural-terapia: viene fatta con l’uso della procaina, anestetico locale utilizzato soprattutto dai dentisti, che sta dando dei risultati molto interessanti per il trattamento di neuro-Covid.
La perdita del gusto e dell’olfatto possono essere trattati con un prodotto chiamato “GLIALIA” che sembra agire andando a ripristinare la funzionalità dei nervi desensibilizzati dalla presenza della Spike. Durante l’infezione virale può succedere che si perdano gusto e olfatto; questo fenomeno fa sì che, a volte in casi gravi, la persona perda anche la percezione di essere malata, così non interviene immediatamente nella cura. Se la persona non è cosciente di stare male, trascura la malattia e questa potrebbe evolvere più rapidamente verso la forma più grave. Questa patologia viene chiamata ipossimia felice, un vero e proprio avvelenamento da Spike a livello centrale. 

Claudia: Parliamo di Spike e vaccino…

Bolgan: I danneggiati da vaccino hanno prevalentemente un danno legato alla Spike vaccinale, che è leggermente diversa rispetto a quella naturale, perché modificata per essere molto più stabile.
I danni che ho esposto prima riguardo alla Spike, ci sono anche nei danneggiati da vaccino, e l’incidenza, purtroppo, è maggiore nei vaccinati, perché al danno da Spike si aggiungono anche altre tipologie di danni. Se prendiamo il vaccino della Pfizer, dobbiamo aggiungere anche il danno dovuto al liposoma, cioè l’involucro in cui è contenuto l’mRna, il gene che ci porta l’antigene vaccinale che è la Spike. Questo liposoma è tossico e causa una tossicità sistemica. Può portare allergia: la persona potrebbe avere un’anafilassi al momento dell’iniezione oppure un’anafilassi ritardata che può portare alla formazione di trombi …o anche arresto cardiaco per problemi di coagulazione.
Dobbiamo tenere presente che la modalità con cui il nostro sistema immunitario incontra il virus e cerca di risolvere l’infezione, e la modalità in cui il sistema immunitario incontra il vaccino per produrre anticorpi è completamente diversa. Il sistema immunitario viene stimolato con due tipi di meccanismi molto diversi. Dal punto di vista della malattia naturale, il percorso che il sistema immunitario attiva per produrre un tipo di risposta a largo spettro è fisiologico: il virus prima incontra le mucose in cui abbiamo l’immunità costitutiva che può essere legata alla presenza di lisozima prodotta dalla mucosa stessa o dal PH acido dello stomaco o altre proteine che vengono prodotte e che tendono a bloccare il virus prima che arrivi ad infettare le cellule. Se il virus riesce a superare queste barriere ed è in grado di entrare nelle cellule ed infettarle, si attiva l’immunità innata che è specifica e non differenzia tra virus, batteri e qualsiasi cosa segnalata come pericolosa dall’organismo attaccato da queste cellule (macrofagi e altre cellule dell’immunità innata).
Successivamente passiamo all’immunità adattativa in cui le cellule dell’immunità innata presentano le cellule dell’immunità adattativa: il virus frammentato, che presenta frammenti della Spike o delle altre proteine che costituiscono il virus.
Nel caso della malattia naturale, si formano cellule della memoria sia dell’immunità innata sia cellule dell’immunità adattativa, quelle che producono gli anticorpi qualora l’organismo venisse a contatto di nuovo con lo stesso virus o con una sua variante. L’immunità adattativa contro il Sars-cov2 protegge la persona anche dalle sue varianti. Si è visto, in realtà, che solo l’1% delle persone che hanno sviluppato la malattia una volta poi si reinfettano, e soprattutto in questo 1% non ci sono stati decessi o ricoveri in terapia intensiva per patologie molto gravi tranne per persone che erano già immunodepresse cioè con un sistema immunitario non reattivo.
Questo è un percorso fisiologico che avviene ogni volta che l’organismo entra in contatto con il virus. Quando invece la persona viene vaccinata, la vaccinazione, purtroppo già per il fatto che è parenterale cioè avviene attraverso un’iniezione nel muscolo viene bypassato l’incontro con le mucose. La somministrazione del vaccino deve produrre un’infiammazione locale altrimenti il sistema immunitario non si attiva. Questa infiammazione locale voluta (il vaccino è l’unico farmaco che produce come azione farmacologica un’infiammazione) può essere sistemica: la persona può fare la febbre, fare l’anafilassi, fare una tempesta di citochine veramente importante; quindi, si ha una reazione tossica al vaccino che si sovrappone alla reazione da patogeno che si ha quando si manifesta l’infezione. La reazione da patogeno non è completa; è una reazione che porta solo alla produzione di anticorpi e non porta alla formazione delle cellule della memoria e si ha una risposta molto sbilanciata del sistema immunitario, perché non abbiamo né l’attivazione dell’immunità innata e nemmeno della sua memoria. Non abbiamo nemmeno la formazione delle cellule della memoria adattativa, abbiamo solo la formazione di anticorpi che decadono nel tempo e la persona deve essere rivaccinata. Quando gli anticorpi decadono, il vaccinato, di fronte all’infezione, è come se non fosse mai stato vaccinato. Questo ammettendo, teoricamente, che gli anticorpi prodotti funzionino. Ma noi sappiamo che gli anticorpi vaccinali non proteggono contro le varianti del virus, perché vanno a legarsi solo alla Spike di febbraio 2020 e sappiamo anche che le varianti producono una Spike che nel sito di legame è già diversa dalle prime varianti. Il che comporta che gli anticorpi non sono più in grado di legarsi alla Spike della variante e la persona, anche se vaccinata, non è assolutamente protetta dalla possibile infezione. 

Claudia: Fin dall’inizio, quindi?

Bolgan: Fin dall’inizio. Non è in grado di essere protetto.

Claudia: Quindi il vaccino non serve a nulla. 

Bolgan: No, il vaccino non serve a nulla. Questo è un dato di fatto: tantissime pubblicazioni confermano che gli anticorpi vaccinali non sono assolutamente in grado di proteggere dall’infezione. E questo si sapeva fin dall’inizio perché ancora prima che i vaccini entrassero in fase clinica, a luglio 2020, Astrazeneca ha fatto un primo studio in vivo (sugli animali) per testare la capacità del vaccino di impedire l’infezione, ossia far sì che gli animali grazie alla vaccinazione non si infettassero. Si è visto da subito, anche con un virus contagioso che aveva la stessa sequenza della Spike del vaccino (anticorpi sicuramente neutralizzanti, perché la Spike vaccinale e la Spike del virus infettivo era la stessa,) gli animali si sono infettati comunque.  
Cosa comporta non impedire l’infezione? Significa che la persona può infettarsi e contagiare gli altri. Si sapeva fin da subito che i vaccini non sarebbero stati in grado di interrompere la circolazione del virus. Sono stati ugualmente messi in commercio ben sapendo che c’era questa grande limitazione.
Il problema è che i vaccini non solo sono non-sterilizzanti, cioè non interrompono la trasmissione del virus, ma non sono nemmeno in grado di proteggere di fronte alla malattia più grave, quindi la complicazione, addirittura la favoriscono. E questo perché gli immuno-complessi Spike della variante e anticorpi vaccinali formano un legame debole e questo porta a far sì che il virus della variante sia in grado di infettare le cellule del sistema immunitario. Questo fenomeno si chiama potenziamento della malattia mediato dagli anticorpi vaccinali. Gli anticorpi vaccinali predispongono l’infezione delle cellule del sistema immunitario e l’infezione fa sì che il sistema immunitario produca un’altissima quantità di mediatori dell’infiammazione, le citochine, che vanno a creare danni multi-organo. 

Claudia: Quindi vengono messe a rischio le persone sane.

Bolgan: Vengono messe a rischio. Anche questa era una cosa nota perché dagli studi sul vaccino contro la Sars1 del 2003 si era visto che quando si andavano a infettare gli animali, gli animali vaccinati rispetto al gruppo di controllo non vaccinato sviluppavano più frequentemente, con un’incidenza più alta, la complicazione.
Non è vero che i vaccini, eventualmente, se non funzionano e la persona si infetta ugualmente, fa la malattia in forma più leggera. Al contrario, se si infettano rischiano di sviluppare la malattia in forma più grave. 

Claudia: Che senso ha vaccinare i fragili? E che tipo di protezione possono realmente avere?

Bolgan: Dobbiamo tener presente che quando fanno una valutazione beneficio-rischio, spesso i medici non tengono in considerazione il rischio di danno da vaccino. Se il medico e le agenzie regolatorie pensano che i danni da vaccino siano trascurabili, il danno da vaccino non esiste. Abbiamo visto spesso che i rapporti della Pfizer o altri, fanno una lunga lista di segnalazioni di reazioni avverse, ma alla fine scrivono sempre che non c’è nessuna correlazione, nessun nesso di causa con la vaccinazione. In questo modo viene negato il danno da vaccino. La sua negazione fa sì che si dica al medico che i danni da vaccino non ci sono e quindi le persone che hanno patologie gravi sono maggiormente predisposte a sviluppare una complicazione in caso di infezione. 
Mi spiego meglio: se una persona ha una malattia tumorale, essendo immunodepressa anche per le terapie che fa, sviluppa il Covid nella sua forma più grave, potrebbe essere fatale. La vaccinazione, in questo caso, sarebbe assolutamente consigliata e raccomandata se ci si dimentica che esiste il danno da vaccino. Se invece si fa un altro ragionamento e non si tiene conto del danno da vaccino e che il vaccino causa immunodepressione e che può slatentizzare anche il cancro nelle persone predisposte, dobbiamo tenere presente che i pazienti oncologici a fronte di questo meccanismo potrebbero avere un aggravamento della loro patologia e quindi non andrebbero vaccinati. È il contrario da questo punto di vista, perché si tiene conto del danno da vaccino che è quello di indurre il cancro.
Non posso vaccinare persone che hanno il cancro perché il vaccino stesso è in grado di indurlo, attivarlo anche nel caso in cui la persona non ha tumori in corso.
Lo studio del meccanismo del danno ci consente di valutare quali sono le persone da esonerare.
Gli esoneri vaccinali andrebbero proposti per le persone che hanno patologie oncologiche, cardiovascolari, autoimmunitarie, degenerative e patologie del sistema immunitario. Queste sono categorie che non andrebbero mai vaccinate perché queste patologie sono causate anche dalla vaccinazione.
Ci sono tantissimi studi che hanno permesso di dimostrare il meccanismo da danno da vaccino, però bisogna che venga dimostrato il nesso di causa, bisogna riuscire a individuare nelle sedi del danno le componenti del vaccino. Di fronte a un decesso per trombosi oppure per un attacco cardiaco, bisogna andare a cercare nei tessuti danneggiati, i componenti del vaccino; se troviamo nel trombo oppure nel tessuto cardiaco la Spike vaccinale, o troviamo il liposoma, o l’mRna del vaccino, allora sappiamo per certo che il danno è stato causato dal vaccino. Se questo non viene fatto non siamo in grado di confermare il nesso di causa e nessun produttore lo ha mai fatto per nessun tipo di patologia segnalata come danno da vaccino. Ciò porta ad una sottostima enorme dell’incidenza delle reazioni avverse e soprattutto non permette di mettere in scheda tecnica, tra le controindicazioni, le patologie nelle quali il vaccino può causare quel tipo di danno. Se riusciamo a dimostrare che il vaccino causa trombosi e attacchi cardiaci per danno diretto da vaccino, questo significa che il vaccino sarà controindicato per le persone che hanno patologie cardiovascolari.
Però deve essere messo tra le controindicazioni, invece è stato messo solo tra le segnalazioni delle reazioni avverse. In altri casi sappiamo che ci sono delle reazioni avverse che sono diventate oggetto di precauzione alla somministrazione del vaccino, ma solo dopo che la persona è già stata vaccinata.
La persona deve per forza vaccinarsi per sapere se per lei il vaccino è controindicato o meno. Paradossalmente, una persona che viene vaccinata e ha un danno cardiovascolare, siccome queste patologie non sono considerate come danno da vaccino, la persona diventa un soggetto fragile e quindi vaccinabile e viene inserita nella categoria delle persone che devono essere vaccinate per prime. La vaccinazione, in questo caso, diventa raccomandata se non è già obbligatoria proprio per le patologie che la persona presenta. Questo è veramente un controsenso dovuto al fatto che non viene studiato il nesso di causa.
Le persone che rientrano nelle quattro categorie di patologie autoimmuni, cardiovascolari, tumorali e degenerative non devono essere vaccinate, perché rischiano di aggravare le loro patologie.
Se guardiamo bene, dai cinquant’anni in su in modo fisiologico tutti abbiamo cellule autoreattive che non necessariamente ci portano ad avere malattie autoimmunitarie, ma ci predispongono alla malattia autoimmune nel momento in cui abbiamo un evento scatenante come la vaccinazione. Gli anziani, che nella maggior parte dei casi sono costretti all’assunzione di farmaci per qualche patologia, non andrebbero mai vaccinati. Bisogna fare prevenzione per il Covid, vanno monitorati e curati perché nel caso in cui sviluppassero l’infezione possano essere supportati adeguatamente con una terapia anche d’impatto, in modo da fermare l’infezione fin dai primi giorni. Per loro la terapia domiciliare precoce diventa veramente un salvavita. È importante lavorare molto sulla prevenzione perché, come ho detto prima, la vaccinazione non previene l’infezione ma addirittura può portare la complicazione a maggior ragione se la persona è anziana e con più patologie. 

Claudia: Torniamo, un attimo, agli esami per la prevenzione di cui parlavi prima: dove si possono fare?

Bolgan: Ho preparato un piccolo documento che ho discusso con i medici e biologi di INBIO (Istituto di immunologia integrata di Milano) disponibile sul mio sito www.studiesalute.it nel quale ci sono le analisi pre-vaccinali che valgono anche per la valutazione del Longcovid e per fare monitoraggio nel tempo. Per il monitoraggio non si terrà conto di tutti i parametri ma solo di alcuni, questo permette di valutare lo stato di salute sulla base dei meccanismi del danno causato, in questo caso, dalla Spike naturale. Sostanzialmente si tratta dei marcatori del pannello trombofilico che sono collegati alle coagulopatie e alla tendenza di sviluppare trombosi, rischio di ischemia o altro e danni cardiaci.
Poi c’è un pannello dedicato alle citochine infiammatorie: se sono elevate ci dicono che il sistema immunitario sta reagendo ancora in modo esagerato dal punto di vista infiammatorio. Ci sono anche altri marcatori legati allo stress ossidativo e alle malattie autoimmunitarie. Queste sono sostanzialmente le analisi da fare. 

Claudia: quindi dobbiamo curarci e tenerci controllati da soli, perché i nostri medici curanti sono un po’ latitanti…

Bolgan: Questo apre la possibilità di andare a lavorare di più sulla prevenzione, che non è solo assumere integratore quotidianamente, ma significa anche avere uno stile di vita che permetta di mantenere il sistema immunitario in buone condizioni. Soprattutto curare l’alimentazione, avere uno stile di vita sano, un basso tenore di stress, dormire bene, andare a letto presto, cercare di fare una vita che permetta alle riserve di antiossidanti di mantenersi, che la vitamina D sia in quantità sufficienti. Le carenze si possono sopperire non solo con integratori ma con gli alimenti che sono in grado di fornire tutto quello di cui abbiamo bisogno. Il problema legato all’alimentazione è che gli alimenti stessi sono fortemente contaminati da sostanze tossiche che si accumulano nel nostro organismo. La scelta degli alimenti diventa importantissima per fare una buona prevenzione. L’idea sarebbe di fare come nei paesi orientali in cui le persone pagano i medici per restare in salute e non per curarsi dalle malattie. 
Nel momento in cui la persona si ammala sappiamo che il percorso per tornare a essere sani può essere molto lungo e non necessariamente possibile, per cui si va incontro a terapie sintomatiche per tutta la vita. Prima che questo succeda bisogna investire nella prevenzione.
La prevenzione viene anche vista come un grande stress, la persona deve assumere in continuazione integratori o altro, farsi analisi. Bisogna cambiare la concezione della prevenzione, nel senso che possiamo cercare di migliorare il nostro approccio nella nostra visione della prevenzione delle malattie.
La nostra salute passa necessariamente attraverso la salute dell’ambiente in cui viviamo, che ci circonda e che produce gli alimenti che mangiamo, l’acqua, l’aria ma anche l’ambiente quotidiano delle relazioni che abbiamo. La salute deve essere valutata a 360°. L’essere umano ha una parte fisica, una parte mentale e una spirituale che si integrano in un tutt’uno e se una parte è malata si riflette sugli altri livelli.

Claudia Baldini

Consulente comunicazione - Proprietaria e direttore di testata giornalistica indipendente "L'Arte del comunicare" - P.R. - Speaker - Formatrice