Il 21 febbraio, abbiamo chiesto chiarimenti all’avvocato Fusillo, presidente dell’Associazione Movimento Libertario, come difenderci dal super marchio verde. 

“L’obbligo vaccinale inizialmente è stato previsto per tutta una serie di categorie professionali che conosciamo: gli operatori sanitari, gli appartenenti alle forze dell’ordine, gli insegnanti, il personale delle scuole e delle università ecc; poi è stato creato un obbligo generalizzato per gli ultracinquantenni e i 49enni che compiranno gli anni entro il 15 giugno 2022.

C’è una diffusa incomprensione da parte soprattutto dei datori di lavoro che sono convinti di avere l’obbligo di sospendere i dipendenti ultracinquantenni non vaccinati o comunque di non fare entrare chiunque non sia provvisto del marchio verde, cinquantenne o no che sia.

Per accedere sui luoghi di lavoro serve, comunque, il cosiddetto green pass base, quello che si può ottenere col tampone. In realtà, per come è scritta la normativa, i datori di lavoro hanno degli obblighi molto inferiori a quelli che si crede comunemente e che si riducono fondamentalmente a due cose:

  1. preparare un atto di organizzazione aziendale nel quale si dice come saranno fatti i controlli
  2. i controlli:
    a) li farà il titolare o un delegato a seconda di come ci si vuole organizzare.
    b) verranno fatti a campione, il che consente a qualsiasi datore di lavoro di far entrare tutti i dipendenti, in piena legittimità.

La legge non definisce né la frequenza temporale del controllo né il numero di dipendenti che debbano essere soggetti a verifica.

Nelle piccole aziende si sa esattamente chi ha fatto il siero magico e chi no; il datore di lavoro intelligente avrà cura di selezionare a campione per il controllo soltanto quelli di cui sa già che sono muniti del marchio verde o sono vaccinati, e lascerà in pace gli altri. In questo modo, l’azienda può continuare a lavorare.

Qualsiasi datore di lavoro farebbe bene a dire ai suoi dipendenti che le questioni sanitarie sono riservate; quindi, un dipendente che s’intromette negli affari sanitari di un altro dipendente sta cercando di interferire in questioni sanitarie molto riservate.

L’unico che può fare il controllo del marchio verde è il datore di lavoro o un suo delegato; lo farà a campione scegliendo quando, come e chi controllare. In questo modo si può convivere con la normativa, sostanzialmente non applicandola.

Nella quasi totalità dei casi, Polizia, finanza, vigili e forze dell’ordine non possono controllare un bel niente, perché nei luoghi di lavoro privati non si può entrare. Possono fare i controlli soltanto nei luoghi di lavoro aperti pubblico (con licenza di pubblico esercizio: negozi, bar, ristoranti ecc). Quand’anche ci dovesse essere un controllo della polizia in luogo privato, il datore di lavoro che avrà fatto l’atto di organizzazione e il verbalino giornaliero nel quale dirà “ho controllato x dipendenti e clienti (ovviamente in forma anonima perché non può dire chi ha controllato) e sono risultati in regola”, il controllo finisce lì.

Se la polizia dov’esse fare un altro controllo sui dipendenti o i clienti e, per caso, trovasse qualcuno senza marchio verde, potrà al massimo multarlo, ma non certo l’azienda che se la cava tranquillamente con la documentazione predisposta. Occorre ricordare che il “green pass”, essendo un documento creato dalla pubblica amministrazione, non può essere richiesto dai pubblici ufficiali i quali, ai sensi dell’art. 43 DPR 445/2000, potranno essere semplicemente invitati a scaricare il “green pass” dalla piattaforma nazionale digital green certificate senza che possano pretendere dai cittadini di esibire il documento o il codice QR.

L’importante è che i datori di lavoro sappiano che in realtà non hanno nessun vero obbligo di obbedire a questa normativa! E che sappiano che possono tranquillamente aggirarla con questi due trucchi: dell’atto di organizzazione e del controllo a campione. I dipendenti, se controllati, potranno trincerarsi dietro all’art. 43 del DPR 445/2000.

La stessa cosa vale per un esercente: se si è adeguato come detto per i titolari di azienda, non rischia praticamente nulla.

L’unico tema aperto, per l’esercente di esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, è l’obbligo di avere il green pass anche per il titolare. Tutti gli altri (chi ha un negozio, chi un albergo e così via) non lo devono avere. Tuttavia, anche per il caso di un titolare di un pubblico esercizio di somministrazione di alimenti e bevande vale la regola secondo cui il pubblico ufficiale non può pretendere l’esibizione di un documento redatto dalla stessa pubblica amministrazione.

Il mio suggerimento è di fare domande a chi fa il controllo (vademecum dei sorci verdi) dove la prima cosa da chiedere è di qualificarsi (nome e cognome e documento), perché si tratta di controllo di dati sanitari, e non un normale controllo di polizia, e deve seguire determinate regole in materia di privacy. Il titolare dell’esercizio ha il diritto di trascrivere i nomi, i numeri di matricola e tenerseli.

Ai controllori dobbiamo anche richiedere l’autorizzazione per fare il controllo del marchio verde da parte del Ministero della salute che è il titolare del trattamento.

Importante è ovviamente non dire mai al poliziotto: “non ho il marchio verde”!

Importante è contestare la sua possibilità di chiederlo legalmente: “io non le faccio vedere assolutamente nulla se lei non mi fa vedere il tesserino, non mi dice il suo nome e cognome, non mi fa vedere la nomina da parte del ministero della salute, non mi fa vedere l’informativa sul trattamento dei dati”.

Se la polizia non ha queste carte, il controllo finisce lì.

E comunque, anche se in regola con tutta la documentazione (nomine, informative ecc.) gli appartenenti alle forze dell’ordine non possono pretendere l’esibizione di un documento che è in possesso della pubblica amministrazione. Saranno loro a doverlo cercare.

Può darsi che faranno un verbale e sarà un verbale che già nasce viziato, in quanto i poliziotti non possono dire che il titolare non aveva il marchio verde, ma diranno solo che il titolare si è rifiutato di mostrarlo indicando i motivi.

Alla terza violazione, non nello stesso giorno, la norma prevede la possibilità di irrogare la sanzione accessoria della chiusura del locale per un certo periodo di tempo. Tuttavia, il verbale di constatazione non è definitivo; l’ordinanza ingiunzione con la sanzione pecuniaria e l’ordine di chiusura può essere emessa solo dal prefetto cui le forze dell’ordine dovranno trasmettere il verbale. Pertanto, non vi è alcun obbligo di ottemperare all’ordine di chiusura che funziona esattamente come nel caso del pagamento in misura ridotta (l’oblazione, cioè chiusura in via bonaria di una violazione amministrativa/multa); si può accettare la sanzione e chiudere oppure si può tranquillamente disattendere l’ordinanza e continuare a stare aperti. Anche l’ordinanza prefettizia potrà essere disattesa restando aperti e questo non comporterà nessun’altra conseguenza se non un’altra multa come insegna il caso della Torteria di Chivasso: la Cassazione ha disposto il dissequestro del locale evidenziando come la violazione dell’ordinanza di chiusura non costituisce reato.”

Claudia Baldini

Consulente comunicazione - Proprietaria e direttore di testata giornalistica indipendente "L'Arte del comunicare" - P.R. - Speaker - Formatrice